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La nave aveva rollato parecchio, ed io e
Graziano, mio compagno di avventura, sbarcando sul porto di Tunisi
controllavamo che il nostro bel colorito verdognolo non aumentasse.
Con molta diplomazia riuscimmo ad uscire dalla dogana tra i primi ed
alle 18 eravamo già fuori Tunisi. |
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Il sole al tramonto tingeva di rosso le montagne che sfilavano veloci ad
est, e gustavamo contenti gli odori nuovi che il vento, tutt’altro che
freddo per essere in gennaio, ci portava. Finalmente di nuovo in Africa ! |
Dovevamo raggiungere assolutamente il confine dopo Nefta prima di
mezzanotte per riuscire a sdoganare e dormire già in Algeria, ad El Ued,
partenza della prima speciale della PARIGI- DAKAR !
Il doganiere Algerino, senza notare assolutamente i nostri visi
sconvolti, (la temperatura era scesa sensibilmente, ed il nostro colore
verdastro, ricordo dell’Habib, aveva ormai degenerato in un blu a
chiazze chiare ) timbrò i passaporti alle 23,40.
Avevamo fatto 580 Km. di Tunisia in meno di 6 ore, e di notte. E tutto
sommato non era andata male; eravamo già in Algeria, e a due passi dai
nostri eroi.
Montato il tendino, addormentarci non fu un grosso problema.
Arrivando ad El Ued lo scenario era apocalittico. Nel bel mezzo del
deserto , in un mare di dune impressionante, centinaia di auto e camion
dai colori vivissimi, brulicavano in tutte le direzioni, provando motori
e gomme prima della partenza. Girando lo sguardo , tutt’intorno, fin
sulle dune più alte e più lontano ancora si poteva vedere ogni tipo di
veicolo, e di pubblicità.
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Le più grandi multinazionali del tabacco, dei liquori e degli Hi-Fi erano lì,
coloratissimi, a far bella mostra di se’, nel mezzo del deserto.
E poi le telecamere, e la stampa, e gli elicotteri.
E i curiosi, e noi. Nel giro di due ore tutto questo è sparito, è rimasto solo
il deserto. |
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Le moto erano partite prestissimo, e potemmo vedere solo la partenza delle auto;
cinque alla volta, in linea. Il nero buggie di Auriol schizzò via nella sabbia
come un razzo, lasciando quasi al palo la Peugeot di Vatanen. |
Alla prima curva dopo un rettilineo ormai devastato di un paio di km. , aveva
già un centinaio di metri di vantaggio. Non avremmo mai immaginato che non
sarebbe neppure arrivato alla fine di quella tappa, che fu subito chiaro,
sarebbe stata tremenda; in pieno deserto, davanti 300 km. di dune, di sabbia
finissima. Sabine doveva sfoltire i suoi cavalieri. |
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Era la stessa sabbia, le stesse dune che
due mesi prima mi avevano intrappolato, come altri 60
concorrenti, con la moto piantata fino al serbatoio,
nella seconda maledetta tappa dell’ultima Djerba 500.
Quasi parallela a questa, solo una cinquantina di km.
più a est. La sera al bivacco arrivammo solo in 14. Gli
organizzatori e l’Esercito trovarono nei giorni
successivi più di 20 concorrenti dispersi ancora vivi,
ma per gli ultimi tre non ci fu più niente da fare. Fu
l’ultimo rally organizzato senza la “balise”
obbligatoria.
Dopo Assi-Messaoud e Bordji omar Driss, la carovana dei
nostri eroi avrebbe puntato e fatto tappa a Tamanrasset.
E lì, sotto le montagne nere dell’Assekrem decidemmo di
incontrare i nostri beniamini, o almeno i superstiti
della tappa feroce, i motociclisti di cui avevamo perso
la partenza.
Chi ha potuto vedere una carta Michelin 953, avrà notato
che la strada che da Ouargla porta a El Golea , compie
quasi un angolo retto verso ovest per raggiungere
Gardaia, per poi ridiscendere verso sud. C’è però
tracciata una pista che collega direttamente Ouargla con
El Golea, per altro con la scritta “ piste interdit ”.
Noi , non avendo nessuna voglia di fare ancora
dell’asfalto decidemmo di cercarla, ma dopo un’ora buona
di tentativi cercando in tutte le direzioni, di quella
pista nessuna traccia. A questo punto non restava che
tornare indietro e ritrovare e seguire l’asfalto.
E invece no.
Ora, secondo voi, che cos’è la razionalità ?
E lo spirito di avventura ?
E quanto può uno essere influenzato dall’altro ?
E quanti altri conflitti possono scatenarsi nella mente
di un individuo apparentemente sano di fronte ad una
situazione come questa ?
Morale; davanti a noi l’altopiano desertico finiva, e fino all’orizzonte era un
susseguirsi di canaloni e crepacci molto ripidi, al limite della
praticabilità; abbiamo fermato le moto, fatto il cap puntando l’orizzonte con la
bussola e ci siamo infilati decisi nel brodo caldo di sabbia e sassi rossi ,
guidando in piedi come due trialisti con gli zaini in spalla e davanti, a circa
400 km., El Golea ! |
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I canaloni rocciosi finirono quasi
subito, per lasciare il passo a catene interminabili di
dune molli , che con i nostri zaini e tutto il resto era
sconsigliabile attraversare, bisognava aggirarle
rifacendo il cap ogni volta.
Graziano Lenzi con la sua TT era un abile ed esperto
motociclista, ma era la prima volta che “provava”
l’Africa e con lui, di bussola, neanche parlarne.
Guidammo con molta prudenza tutta la giornata senza
vedere nessun segno di vita, in un paesaggio lunare e
verso sera convinti di essere a meno di un’ora dall’oasi
continuammo, usando la prima grossa stella visibile come
punto di riferimento, e rifacendo il cap ogni mezz’ora.
Quando era ormai completamente buio da un pezzo,
voltandomi quasi per caso, mi sono accorto di essere
solo.
Graziano non c’era più.
E di tracce con quel buio, neanche a pensarci.
Da quanto tempo si era fermato ? 10 minuti ? 20 km.? ed
in che direzione ? e nel caso fosse riuscito a partire,
in che direzione sarebbe andato lui, senza bussola,
senza nessun punto di riferimento ?
La situazione mi apparve in un attimo in tutta la sua
drammaticità.
Raggiunta la duna più alta, iniziai a ruotare il faro
della mia Honda R in tutte le direzioni nella speranza
di essere visto, e sentivo l’angoscia che mi stava
prendendo.
E di colpo a chiedermi perché l’avevo fatto, perché non
avevo proseguito per l’asfalto, perché mi ero andato a
ficcare in quel guaio.
Dopo un quarto d’ora durato almeno 6 mesi,
all’orizzonte, lontano il faro della Yamaha apparve e
poi scomparve fioco, arrancando tra le dune e nel buio
in un’altra direzione.
Montammo subito il tendino, decidendo di proseguire il
giorno dopo.
La centralina del TT aveva grossi problemi e con questo
problema, tra gli altri, ( se non fossimo riusciti a
ripararla era meglio abbandonarla nel deserto e
proseguire in due sulla mia moto, o tentare di trainarla
? e in tutte e due i casi, la mia 600R avrebbe resistito
allo sforzo ?) … in un silenzio spettrale ed urlante a 5
gradi sotto zero cercammo, questa volta meno facilmente
di addormentarci.
Che cos’è che porta un individuo
apparentemente sano, senza grossi problemi esistenziali,
con una situazione familiare sufficientemente serena, a
cacciarsi in una situazione simile ?
il dannatissimo spirito di avventura ?
La fantasia e il pensiero volano veloci.
I grandi navigatori, Cristoforo Colombo, finita l’acqua
ed i viveri, in mezzo all’oceano, non potendo più ormai
tornare indietro, cosa provava ? ( anche noi non avevamo
sufficiente benzina per tornare al punto di partenza ).
Ma lui in fin dei conti doveva cercare le Indie,
comandato dal Re di Spagna …..
E Armstrong e Oldring, i primi astronauti sbarcati
sulla Luna, quando erano là , sdraiati dentro al modulo
lunare che “ avrebbe “ dovuto partire staccandosi dalla
Luna ( ma non l’avevano mai fatto prima, era la prima
volta, un’esperienza; il minimo inconveniente, la più
piccola valutazione errata avrebbe compromesso tutto )
per congiungersi alla navetta orbitante di Colins (
trovarla ed aggangiarsi ) per poi ripartire verso la
Terra, sulla quale poi atterrare in modo accettabile …
ma loro, cosa provavano ? quanto può essere più
complessa una navetta spaziale della centralina di una
TT ?
E l’angoscia può essere direttamente proporzionale alla
complessità tecnologica ed alla distanza ?
Sì, in effetti non ci fu facile dormire e diciamo la
verità, nemmeno trovare delle risposte.
La mattina ripartendo, constatammo che
la centralina della moto di Graziano andava in tilt
quando si scaldava, così procedemmo a tappe di 40-50 km.
intervallate a soste forzate durante le quali
procedevamo a sostituire il collegamento elettrico con
un’altra centralina di scorta, rivelatasi anche lei
carente, attaccata col nastro americano al serbatoio.
Raggiungemmo l’asfalto, miracolo agognato, che era ormai
sera e con la benzina ormai finita, e quando si dice la
sorte, al distributore, appena fatto il pieno, si è
rotto il pedale della messa in moto della mia 600 R.
Solo chi ne ha avuta una può capire come sulla sabbia,
senza messa in moto, sia assolutamente impossibile
accenderla. Ma eravamo arrivati appena all’asfalto, e
giocando abilmente di alzavalvola l’accensione era
possibile a spinta.
L’appuntamento con le nere cime
dell’Assekrem e con la Dakar era ormai sfumato e tra
incredibili riflessioni che avrebbero pesantemente, e
forse positivamente condizionato le nostre avventure
future, ritornammo verso la Tunisia, sempre a piccole
tappe, ma questa volta sull’asfalto.
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