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Kazakstan
Bologna – Krabi
Ao Nang
...con sosta in
Kazakistan
Il
diario di bordo
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Bentrovati cari amici virtuali; siete pronti a
friggere lì comodi sulle vostre poltrone di navigatori?
E allora beccatevi questa, e centellinatevela con cura che è
proprio una storiella ghiotta coi fiocchi ! |
Tutto cominciò quella volta che incontrammo i ragazzi di Frittomisto.
Tre dei ragazzi di Frittomisto erano partiti da Marina di Romea
con una barchetta di 7 metri, ed in 2 mesi e mezzo avevano
raggiunto Krabi, Ao-Nang in Tailandia dove avevano realizzato il
mitico Frittomisto villa con tanto di
sito internet 2 piscine & jacuzzi, villaggio
turistico incantato sulla collina, l’esclusiva zona alta con
splendida vista sulla baia.
Arrivarono completamente coperti di sale.
Era praticamente impossibile, per noi vecchi
piloti di rally africani, non collegare le cose e non sognare di
fare lo stesso percorso però via terra, ed in moto ovviamente.
Così nel giro di poche settimane il sogno divenne
un pensiero fisso, di quelli che non riesci più a toglierti di
mente e ti assilla giorno e notte, fino a quando ti rendi conto
che la cosa sì, si può fare.
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E quindi cominci a concretizzare; primo pensiero:
che tipo di moto.
Dovevano essere assolutamente delle vecchie Honda
XR 600R, compagne di tante nostre avventure africane,
purtroppo anche di qualche tragedia, che amavamo e conoscevamo
perfettamente, così siamo partiti alla ricerca di 4 moto giuste
( perché ormai era sicuro che saremmo partiti in 4 ) ed
iniziammo febbrilmente a prepararle.
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Parallelamente iniziò lo studio del percorso,
l’identificazione degli Stati da attraversare, e quindi
l’avventura di contattare le varie ambasciate nel tentativo di
ottenere i visti di ingresso; e poi le autorizzazioni
all’espatrio per i non proprietari dei mezzi, i carnet de pasage
emessi dall’ACI e le relative fidejussioni emesse dalle nostre
banche, e poi i libretti e le patenti internazionali, alcune
vaccinazioni e così via;.. da uscirne pazzi.
Siamo partiti all’alba di un sabato mattina
d’agosto gustando finalmente rilassati il rombo costante delle
nostre 600 alle quali avevamo ottimamente allungato i rapporti; prima
tappa Budapest, che abbiamo raggiunto alle 7 del pomeriggio e
lasciato la mattina successiva ancora all’alba, e le moto
filavano che era un piacere per le belle strade ungheresi,
dritte e sgombre. Appena entrati in Romania, senza grossi
problemi con la polizia di frontiera, subito il fondo stradale
è cambiato divenendo ricco di buche, dossi e gibbosità e
raggiungendo il massimo ai primi valichi dei monti Carpazi, con
effetto staccata del rettilineo di partenza di una pista di
motocross.
Ma per noi, con quelle moto, era Grande
Libidine.
All’una del
pomeriggio, tra i passi Carpazi, Mauro nota una preoccupante
perdita di olio dalla testata della sua 600 e una volta fermati,
tra lo sconforto generale constatiamo l’allentamento della
testata con probabile lacerazione della guarnizione di testa;
non abbiamo la chiave dinamometrica né una guarnizione di testa
di ricambio; attorno a noi rocche montuose strane con sospetti
manieri dalle strane torri aguzze, che ci ricordano con qualche
brivido di essere molto vicini alla Transilvania.
Poi uno dice la
sfortuna, si fa presto! E invece no; siamo lì con la moto
già tutta smontata dalle sue carenature e dai suoi serbatoi (50
litri che ci permettevano 700 km. di autonomia) che arriva un
tipo con maglia KTM su moto Java 250 del 74, forse 76, e ci
chiede cosa è successo, perché certi suoi amici là vicino,
avevano in garage tutto quello che ci occorreva, chiave dinamometrica compreso.
Con un filo di
speranza lo seguiamo ed una volta arrivati constatiamo la
sincerità del nostro amico, ed iniziamo subito il lavoro.
Richiuso il motore,
ringraziati gli amici motociclisti Rumeni, ripartiamo quasi al
tramonto con l’intenzione di recuperare il più possibile il
tempo perso viaggiando di notte, forti di certi fari lenticolari
che avevamo montato al di sotto delle nostre carene.
In effetti i fari
non andavano poi male, solo che non c’era nulla da illuminare,
in quanto la strada, con il suo bel fondo da pista di motocross,
al buio letteralmente scompariva, priva com’era di striscia
bianca e catarifrangenti; il suo colore era lo stesso del
terreno circostante ed i nostri fari illuminavano un nulla.
A mezzanotte, dopo
aver sbagliato un centinaio di curve e sfiniti dalla tensione del
viaggio alla cieca, abbiamo saggiamente deciso di fermarci per
la notte in uno strano paesino in cima ai monti, ancora con uno
strano vecchio castello dalle preoccupanti torri a punta il cui
portone, quando dopo molte nostre insistenze qualcuno ha aperto,
ha lacerato il silenzio con un gelido scricchiolio.
Strane e sospette collane di aglio pendevano
dalle pareti.
Il paesino era
deserto nel buio della notte.
In questi viaggi, la prima cosa che si pensa al
mattino è se la moto sia ancora lì.
Erano ancora lì e la
loro vista ci riempiva di buonumore.
Ripartimmo quindi
decisi ad arrivare a Odessa in Ucraina ma giunti al confine con la
Moldavia tutto è divenuto complesso.
Entrati in Moldavia
sono iniziati i guai, o meglio, non proprio i guai, i fastidi,
che ci avrebbero accompagnato per tutto il resto del viaggio;
le appiccicose Forze dell’Ordine ex Bolsceviche tipo Vopos – Kgb,
alle quali noi poveri turisti–motociclisti occidentali non
siamo proprio abituati.
In effetti la
Moldavia, al di là dei Ghestapos, già per conto suo è un paese
diciamo, originale; grande superstrada, 150 km senza un’auto nè un cartello, nessuno, poi di colpo una trincea di sassi
attraversa la strada e al di là di essa una fossa di 2 metri
fonda 2, …e subito arriva il vopos che ti chiede 10 dollari,
così, come un’elemosina, e tu che ti stai riprendendo dal panico
da staccata alla morte con doppio derapamento carpiato per non
finire nella fossa lo guardi indeciso tra il riso e il pianto
disperato.
Proseguendo in una
specie di pista ad ostacoli e tombini di un metro aperti,
arriviamo all’ennesimo posto di blocco, dove dopo averci chiesto
di esibire tutti i documenti possibili ai quali non danno nemmeno
uno sguardo, dopo aver trattato con il kaghebe fino a 2,5
dollari a testa la gabella di turno, dopo aver perso almeno
un’ora, ... 10 metri più avanti (giuro, 10 metri) dei vopos con
un colore della divisa diverso ci rifermano e ci dicono: “dogana“, in russo
ovviamente, che non so neanche come si
dice.
Naturalmente non è
servito a molto cercare di fargli notare che frontiere
all’interno della Moldavia a noi non ne risultavano e che non
sapevamo neanche in che strano paese stessimo per entrare; anche
loro hanno preteso di visionare tutti i nostri documenti (senza
guardarli naturalmente) e alla fine anche a loro abbiamo dovuto
dare la consueta decina di dollari.
Persa un’altra ora.
Di queste soste
abbiamo dovuto subirne una dozzina, due degne di nota;
la prima, -ci fermano i kgb e ci dicono di entrare in uno stanzino a
guardiola vuoto e arroventato, dove una decina di vopos
sonnecchiano appoggiati a vecchi mobili in stile realsozialism,
poi uno di loro tira fuori tutto un armamentario di registri e
bolli e moduli ed infine ci fa pagare 10 dollari per la tassa
per l’ecologia, ( giuro, per l’ecologia )
la seconda, -ancora il kaghebe di turno ci ferma questa volta a pochi passi
dalla frontiera, vera, con l'Ucraina e ben armato ci chiede,
coadiuvato da civili sghignazzanti, la carta verde, dove
possiamo constatare che quella strana provincia della Moldavia
che loro chiamano il loro stato indipendente non è ovviamente
compresa nella lista dei paesi coperti dall’assicurazione: 10
dollari.
Alla frontiera,
vera, con l’Ucraina le cose non vanno tanto meglio; usciamo a
mezzanotte, dopo aver riempito una ventina di moduli e
contromoduli che sono stati tutti adeguatamente firmati e
controtimbrati da squadre di nullafacenti in divisa e tra sciami
di enormi zanzare; ad Odessa arriviamo alle 3 di mattina.
I ristoranti degli
alberghi dell’est, dove consumiamo striminzite prime colazioni,
ricordano i refettori delle colonie estive anni 50 dove da
piccoli passavamo le vacanze estive; nel torpore del mattino gli
odori, gli echi di chiacchiericci negli enormi stanzoni vuoti e
l’inflessibilità e il disinteresse delle cameriere, anche loro
un po’ vopos ci fanno tornare bambini.
Ma la mattina, il
caffè vero è la vista delle moto, e constatare che hanno passato
indenni anche l’ultima nottata.
Tolti lucchetti e catene, un
rapido controllo all’olio e ... all’usura dei pneumatici che
scopriamo degradare di circa un millimetro ogni 1000 km, ed è subito
chiaro che prima di entrare in Cina ed affrontare i passi Himalaiani dobbiamo trovarne dei nuovi.
Partiamo in
direzione Rostov na Donu, in Russia, proprio dove avevamo
sentito alcuni giorni prima di partire al telegiornale che
alcuni terroristi erano stati trovati morti in un albergo
(senz’altro il nostro, ovviamente) perché si erano rovesciati
addosso, sembra senza volere, alcune provette contenenti batteri
trafugati in una base militare Russa e contagiando di seguito in modo mortale una ottantina di persone. Una bella cosina
graziosa.
Corroborati da
questo gaio pensiero attraversiamo interminabili colline
coltivate a girasoli che ci accompagnano per tutta la giornata;
un infinito mare verde punteggiato di giallo che avrebbe
sconvolto Ligabue, interrotto ad intervalli di 20 km. da
monumentali quanto diroccati portali ancora in stile
realsozialism, che segnalavano i vari ingressi dei Kolkoz che
coltivavano quelle aree.
Arriviamo alla
frontiera Russa al tramonto e Rostov dista solo 150 km., ma alla
dogana timbriamo bolli e riempiamo moduli per 4 ore e mezza, e
una volta entrati in Russia cominciamo a trovare i primi niet
sulle pompe di benzina e naturalmente cominciamo a rimanere a
secco, così all’albergo infetto di Rostov arriviamo alle 3 di
notte dove a quell’ora ovviamente non è possibile mangiare
nulla, e siamo già fortunati ad ottenere le chiavi delle camere
(camere che abbiamo prenotato e pagato dall’Italia, condizione
imprescindibile per ottenere il Visto d’ingresso) ottenuta la
quale Cesira scompare subito su per le scale con una busona
formato matriosca dalle tette a tubo. Noi invece andiamo a
letto soli e staccato il telefono dopo la 5° proposta di non
meglio specificate forme di collaborazione di altre signorine
locali, inizia il via vai direttamente nei corridoi, in quanto
dette signorine sembrano non voler rinunciare ad erogare i loro
servizi.
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La tappa successiva per Volgograd è breve, meno
di 500 km, ancora di immenso mare di girasoli, e alle 3 del
pomeriggio siamo già nel cortile dell’albergo prenotato–prepagato
alle prese con una generale manutenzione delle nostre 600 e
delle signorine locali che, organizzatissime, giungono fin nel
cortile ed iniziano a massaggiarci durante la manutenzione.
Cesira, pur ancora allo stremo per la matriosca della notte
precedente, perde immediatamente la testa e riscompare con 2
slave inciampando, in un tappeto finto tipo caucasico.
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L’albergo realizzato
apparentemente nella seconda metà dell’800 è ancora molto bello
e porta i segni evidenti di un antico splendore che ricorda la
vecchia nobiltà russa alla Dottor Zivago. I corridoi si
congiungono in salotti ovali e lo stile dei mobili e dei tappeti
è consono al periodo, anche se sono copie recenti fatte a
macchina. La hall ed il salone ristorante è davvero bello e ben
attrezzato di numerose signorine sole ben distribuite in tutte
quelle salette.
Riusciamo dopo tanto
tempo appena a cenare, quando siamo letteralmente investiti,
ospiti quasi unici dell’albergo, da un nugolo di signorine di
tutte le età assolutamente decise a concludere. Quindi rapida
ritirata in camera, barricata la porta, staccato il telefono e
amen.
Prima di dormire ci
ricordiamo che quel giorno doveva esserci stato l’eclissi
di sole, ma impegnati nella guida non ci eravamo accorti di lui,
poi non sapevamo bene a che ora doveva essere, non sapevamo
neppure esattamente quale fosse il fuso orario locale e ci siamo
addormentati un po’ dispiaciuti.
Cesira non deve essersi
addormentato per niente, dalle occhiaie che aveva la mattina
dopo.
Quando il sole è
sorto eravamo già sulla strada; la tappa quel giorno era di
quasi 900 km e in più dovevamo attraversare la frontiera del
Kazakstan.
Il fresco del
mattino ha subito lasciato il posto ad una giornata calda ed
afosa.
Attorno il paesaggio era completamente cambiato, i
girasoli avevano lasciato spazio alla steppa, una infinita
distesa di terriccio misto a sabbia chiara dalla quale sbucavano
radi cespugli, bassi e irsuti.
Continuano i
cartelli niet ai distributori di benzina e continuano,
ovviamente, i controlli di polizia da 10 dollari. All’ultimo di
questi il poliziotto per intimorirci, ci spiega naturalmente in
russo, che qualcosa non va nei nostri visti e che se non andiamo
immediatamente all’ufficio immigrazione di Astrakan a sistemare
tutto rischiamo l’arresto, e ci mostra i polsi uniti in un soave
gesto.
E’ l’una del
pomeriggio e la temperatura è di quasi 40 gradi, dentro le
nostre tute con stivali ecc. la trattativa con l’ennesimo vopos
ci appanna e sfianca e ci caschiamo.
Dopo aver vagato per
Astrakan alla ricerca dell’ufficio immigrazione e dopo averlo
trovato con l’aiuto di un taxista, siamo avvicinati da un
funzionario che ci spiega che la situazione è grave e che
dobbiamo seguirlo in auto con lui dall’altra parte della città.
Ci caschiamo
ma solo in parte, e dopo una lunga trattativa accettiamo di
seguirlo solo in 2, mentre gli altri 2 restano con le moto.
Alle 6 del
pomeriggio finalmente ritornano, accompagnati da 2 diversi e
giovani funzionari che mi spiegano in un buon inglese di come
ovviamente avevamo subito una truffa, costata solo 150 dollari
dai 500 chiesti inizialmente, che poi tutto sommato era andata
bene in quanto avevamo salvato i passaporti, trattenuti in un
attimo di lucidità prima che il funzionario-truffatore si
dileguasse abbandonando i miei 2 amici nel centro di un ufficio
sconosciuto di una città sconosciuta, …ed anche le moto.
I 2 giovani
funzionari hanno cercato, scusandosi, di spiegarci che in Russia
non tutti erano truffatori, e che qualcosa stava cambiando, o
almeno loro ci credevano davvero e li abbiamo lasciati
ringraziandoli.
La mia moto e quella
di Mauro a quel punto hanno iniziato ad avere problemi di
accensione.
Siamo partiti con
il pensiero già alla vicina frontiera con il Kazakstan che
abbiamo raggiunto e superato alle 11 di sera dopo la
tradizionale montagna di controlli e timbri e moduli, e gabelle,
dopo aver attraversato il delta del Volga tra dune, traghetti e
paludi durante le quali la mia moto ha cominciato a rattare
sempre più.
Atyrau, la città che
dovevamo raggiungere, dove c’era il nostro hotel prepagato,
distava circa 400 km. e appena lasciata la dogana nel buio, la
strada (si fa per dire) è scomparsa, lasciando il
posto ad una pista indefinita di terra e sabbia, fortemente
deformata dai Tir; tutt’intorno il nulla chiamato steppa.
E qui la mia moto ha
deciso di fermarsi.
La temperatura era
fresca e gradevole, e una leggera brezza muoveva i radi
cespuglio attorno a noi nel silenzio e nel buio più totale.
Cambiata la candela
con l’aiuto di Mauro (la persona più giusta in queste occasioni) abbiamo constatato che il guaio era di diversa origine,
statore o centralina che avevamo di ricambio, e mentre ci
accingevamo alla sostituzione è arrivato un enorme camion il cui
autista, in un buon inglese ci ha informato che era
pericolosissimo fermarsi in quanto la zona era infestata da
bande di fuoriusciti dalla guerra civile del Tajikstan che
depredavano i passanti, e si è offerto di trasportarmi
gratuitamente all’albergo di Atyrau dove ci consigliava di
effettuare la riparazione in sicurezza.
In cabina erano in 4
tutti kazaki, tutt’attorno la steppa desertica nel buio della
quale sono presto scomparse davanti a me le 3 moto superstiti .
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Quando mi hanno
svegliato era l’alba e il buon camionista mi ha offerto un caffè
e una frugale colazione al kiosk di sua figlia. Mi ha lasciato
all’albergo rifiutando assolutamente i miei dollari e dicendomi
che se proprio volevo fare qualcosa per lui, bè, che fossi
arrivato fino a Krabi !
L’ho salutato con un
abbraccio. Nel cortile dell’albergo c’erano, provate, le tre
600, il motore era ancora caldo.
L’albergo, unico di
Atyrau, era stato realizzato all’interno di un ex centro di
comando USA abbandonato dopo la fine della guerra del golfo. Era
gestito da scozzesi che ne avevano ottenuto, all’interno, un
accogliente 4 stelle, da 150 dollari/notte.
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I clienti erano
esclusivamente tecnici petroliferi europei e americani che
sondavano il terreno vicino in cerca di petrolio, sembra con
successo.
Dopo un rapido
consulto ci siamo resi conto della situazione difficile; avevamo
davanti 3 ore buone di lavoro per far ripartire le moto, e
dovevamo assolutamente uscire dal Kazakstan, attraversare l’Uzbekstan,
poi il Kyrgyzstan ed entrare in Cina entro i tre giorni per i
quali avevamo ottenuto il visto.
Davanti avevamo
1.500 km di deserto con l’oasi di Tasauz a metà strada e poi
Samarcanda; di là era quasi Cina.
Decidemmo di fare un gruppo per la riparazione
delle moto, ed io alla ricerca di un camion che ci portasse a
Tasauz viaggiando anche tutta la notte, dove avremmo potuto
arrivare la mattina successiva con le moto a posto, il pieno e
riposati (si fa per dire), pronti a proseguire il viaggio e
rispettando i visti.
Il primo camionista
quando gli abbiamo comunicato il percorso è salito in camion ed
è sparito senza salutare. Il secondo, un ragazzo giovane e
sveglio al quale avevamo offerto fino a 600 dollari, ci ha
spiegato che lui ne guadagnava massimo 100 al mese, ma che non
poteva fare quella strada nel deserto in quanto ci avrebbero
tutti uccisi, e non forse, ma sicuro.
Quella era l’area
maggiormente battuta dai fuoriusciti della guerra civile del
Tajikstan, molti di essi erano in divisa da poliziotti e chi si
azzardava ad attraversare il deserto in quel punto lo faceva in
convoglio, una volta la settimana con scorta di miliziani armati
che sparavano a vista.
Ormai verso sera,
tentammo quindi di imbarcare noi e le moto su di un treno che
alle 10 di quella sera passava da Atyrau ed arrivava a
Samarcanda 2 giorni e 3 notti dopo, quindi ancora in tempo per i
nostri visti.
Siamo quindi partiti
in moto con armi e bagagli per cercare la stazione che al buio
non era poi così facile trovare in quanto non c’erano
segnalazioni.
Nelle sue vicinanze c’era il marasma più totale
con via vai di facce incredibili, tagliagole, ubriachi ecc. e di
biglietti non c’era verso di riuscire a comprarne. L’estenuante
trattativa con il boss della stazione ha portato ad una tangente
di 100 dollari per entrare e prendere il treno, ma biglietti
niente.
Quando il treno è arrivato, con 3 ore di ritardo,
lo spettacolo è stato devastante. Dall’interno assolutamente
buio delle carrozze tra un brulicare di ombre uscivano grida ed
imprecazioni, i finestrini, divelti da tempo, erano sostituiti
con lamiere e cartoni, qualcuno aveva tondini in ferro piegati a
mano e saldati all’esterno, da cui uscivano braccia e gambe
pigiate. Subito sono nate feroci risse tra i presenti sul treno
e chi cercava di salire infilandosi dai finestrini senza sbarre.
Le porte erano barricate dall’interno e nessuna si è aperta.
Del
vagone merci nessuna traccia.
Non abbiamo potuto prendere quel treno.
Siamo quindi usciti
mestamente dalla stazione, cominciando a realizzare che il
nostro viaggio finiva lì, e che non c’erano condizioni per
continuare.
All’uscita una
ragazzona alta, robusta ed in divisa con tanto di gradi mi ha
avvicinato e dicendomi dasfidania mi ha restituito i 100
dollari. Gli ho risposto spaziva e l’ho abbracciata come avevo
fatto con il camionista.
Fuori dalla stazione
la mia moto aveva ancora problemi, più o meno come le altre in
quanto essendo motori quasi da competizione non accettavano
assolutamente la benzina locale, mista ad acqua e nafta. Prima
di arrivare all’albergo anche la moto di Mauro si è spenta, e
senza fermarci l’ho spinta direttamente fino all’albergo, dove
siamo arrivati alle 2 dopo mezzanotte, con il visto ormai
scaduto e poche idee e ben confuse in testa, e dove abbiamo
incontrato Alberto.
Alberto era un
geofisico dell’Eni che ci ha assistito e guidato nelle
peripezie dei giorni successivi nei quali abbiamo dovuto
estendere il nostro visto evitando l’arresto, trovare un
corriere per l’Italia in grado di rimpatriare le nostre moto,
fare un atto notarile che delegasse una sua amica Kazaka allo
sdoganamento delle quattro 600 ed infine togliere dai nostri
passaporti la loro nota di entrata, per poi trovare 4 biglietti
per la locale compagnia aerea ( ! ) con direzione Mosca.
Una
cosina da nulla.
Atyrau una volta si
chiamava Gurjef, era un enorme campo di lavoro più o meno
forzato voluto da Stalin nel quale erano stati deportati
cittadini a migliaia da tutte le regioni dell’Urss. In una
squallida area di alcuni chilometri sorgevano sordide baracche
diroccate ed ammassate in disordine le une alle altre ed il loro
grigiore si confondeva con quello della steppa in una
allucinante continuità.
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Era quella
la zona dove iniziava la depressione che portava al lago d’Aral, o a
ciò che di esso restava; per una serie di scelte politiche
scellerate è stato deviato il corso dei fiumi che lo
alimentavano, ed esso si stava via via prosciugando. Relitti di
imbarcazioni giacevano a km. di distanza dalla riva che continuava
a ritirarsi.
Il suolo era composto da una
micidiale miscela di veleni non biodegradabili; DDT, diossina,
anticrittogamici micidiali ed ogni quant’altro bandito in
occidente ormai da anni, è stato portato dai fiumi e si è
depositato sul fondo del lago in strati di diversi cm che una
volta
allo scoperto veniva alzato e portato dal vento nelle case ed
ovunque, per la gioia e il benessere dei cittadini. |
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Nel centro di Atyrau ci sono i
palazzi governativi che chiamare fatiscenti non è un voler
essere gentili.
Realizzati negli anni 50, hanno i
muri in pietra a vista dall'aspetto
diroccato, dalle aperture per le porte e le finestre fuoriesce
il tondino del cemento armato al quale viene saldato
direttamente un telaio in ferro assolutamente arrugginito ed
adattato a mano che sostiene la porta o la finestra in ferro o
legno, generalmente bloccati a metà senza potersi chiudere nè
aprire del tutto.
Entrando lo sfacelo aumenta ed in
più appaiono divisioni e camminamenti forzati fatti in tondino
di ferro piegato e saldato dai quali nuguli di cittadini urlanti
chiedono permessi, autorizzazioni, licenze ecc, venendo
immediatamente vessati a dovere. A quanto pare occorrono
permessi per tutte le cose; e ottenerli non è sempre facile e
comunque vanno pagati, sottobanco naturalmente.
Folte squadre di vopos, o se preferite
kaghebe, infestano la zona; in una squallida guardiola tipo
portineria sporca e vuota ho contato 8 vopos nullafacenti dei
quali
uno urlava arroganti invettive da un pertugio ai cittadini che
si azzardavano a chiedere informazioni.
Lì dentro abbiamo vagato a lungo
fino ad arrivare dalla parte opposta di una di quelle barriere
saldate a gabbia, con la stessa gente urlante da ambo i lati, e
non si capiva chi era dentro e chi fuori, chi libero e chi
prigioniero.
Abbiamo avuto anche qualche
momento gradevole, come quella sera che Alberto ci ha invitato a
cena con altri italiani e molte ragazze russe e kazake, e Mauro
ha iniziato un feeling incredibile con una Svetlana o qualcosa
del genere che gli parlava solo in russo e lui le rispondeva che
a Vignola c’erano dei bellissimi duroni, e hanno continuato così
tutti abbracciati e un po’ ubriachi per un’ora fintanto che lei
se lo è preso e portato via nel buio.
Quando l’abbiamo rivisto la
mattina era emaciato e pallido, con la voce roca e un po’
confuso.
Valter in questi 8 giorni era
stato come noi costretto ad un ferreo digiuno, e nell’albergo di
Atyrau si è rifatto, trangugiando le cose più incredibili tutte
accuratamente fritte, e compiendo 3-4 pasti al giorno da circa
12.000 kalorie cadauno, alcuni con leggeri retrogusti di
sale ed altri al tabasco puro, da gargarismi.
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Valter ad Atyrau dormiva con Cesira, che dopo 2 notti non ne
poteva più dei suoi lamenti (li faceva anche di giorno,
continuamente, davvero impressionanti!)
dormiva nudo con i suoi 130 kg. di strutto tutto bianco e
flaccido come un larvo e una notte che Cesira non riusciva a
dormire per via dei lamenti, cominciò a sognare di soffocarlo
con il cuscino, ma il sogno (non in senso onirico, ma in senso
di desiderio) non poteva realizzarsi perchè essendo Valter
grasso sudato e flaccido gli sarebbe scivolato via, quindi lui
ha sviluppato la situazione in un –ma valà che se ci do di televisione nel
zuchètto con tutta la mia forza stà lì lui ! - .
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Ad Atyrau , come in quasi tutti i
paesi ex Urss, ogni 100 metri c’è una pattuglia di polizia che
ferma tutti, comunque, e che si fa pagare il pedaggio.
Loro servivano quando c’era
ancora il regime per mantenere l’Ordine Assoluto, ed ora che non
servono più così numerosi, i vari Stati non potendo licenziarli
per evitare disordini o sommosse, semplicemente non gli hanno aumentato lo
stipendio quando la loro valuta è svalutata del 300% così questi
si sono ritrovati a guadagnare l’equivalente di 10.000 lire al mese,
e quindi chi non se ne è andato, per sopravvivere vessa i cittadini.
Quattro giorni dopo, dopo aver
atteso 4 ore sulla pista con le porte chiuse, aria condizionata
spenta, un sospetto via vai di poliziotti, Valter in braghe
corte, prosciutti da fuori e ciabatte infradito e tutto
sparnaciato in testa causa una autotosata con macchinetta
tosapecore, ed un preoccupante getto di kerosene che
usciva da un motore lì vicino, un traballante e rumorosissimo Tupolef lasciò la pista di Atyrau diretto a Mosca.
Credo il momento più pericoloso
di tutto il viaggio.
Della stessa serie:
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Repubblica del
Kazakistan
Kazak Respublikasy |
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Superficie:
2.725.647 Km²
Abitanti:
16.731.000 (stime 2001)
Densità: 6 ab/Km²
Forma
di governo:
Repubblica presidenziale
Capitale:
Astana (280.000 ab.)
Altre
città: Alma-Ata
1.245.000 ab., Karaganda 552.000 ab., Ust-Kamenogorsk
230.000 ab., Semipalatinsk 220.000 ab., Dzambul 150.000 ab.,
Pavlodar 130.000 ab.
Gruppi
etnici: Kazaki
40%, Russi 37%, Tedeschi 6%, Ucraini 5%
Paesi
confinanti:
Russia a NORD e ad OVEST, Cina ad EST, Kirghizistan,
Uzbekistan e Turkmenistan a SUD
Monti
principali:
Gora Belukha 4506 m
Fiumi
principali:
Irtys 4248 Km (totale, compresi tratti cinese e russo),
Syrdarja 2671 Km (totale, compresi tratti uzbeco, tagiko e
kirgizo), Ural 2428 Km (totale, compreso tratto russo),
Ishim 2100 Km (totale, compreso tratto russo), Emba 618 Km
Laghi
principali: Mar
Caspio 371.000 Km² (comprese parti russa, azera, iraniana
e turkmena), Lago d'Aral 41.000 Km² (compresa parte uzbeca),
Lago Balhas 18.200 Km², Lago Zajsan 5000 Km², Alakol 2650
Km²
Isole
principali: -
Clima:
Continentale
Lingua: Kazaco
(ufficiale), Russo, Tedesco, Uighur, Ucraino
Religione:
Musulmani 47%, Ortodossi, Luterani e altri 53%
Moneta: Tenge
kazako
Ricette Cucina Kazaka,
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ROYAL DUTCH AIRLINES:
Volo a/r per Alma-Ata
Da Bologna, Milano, Roma, Venezia
A partire da 840 € |
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